Estate 2004 (circa) – Camminata nei parchi dell’East Bay, San Francisco.
Domenica siamo andati a camminare in uno (sono circa quaranta) dei parchi dell’East Bay (che sta per la zona a est della baia di San Francisco).
Bella passeggiata che ha spaziato da praterie polverose similsavana africana, temperature comprese, a sottobosco fresco ed invitante.
I parchi negli Stati Uniti sono qualcosa di diverso da quello cui siamo abituati (uhm, per un attimo mi sono chiesto se esistono parchi in Italia). Comunque, diversi dicevo. Dimensioni, enormi. Al solito non ci sono vie di mezzo e quindi anche il parchetto più striminzito comporta il rischio di perdercisi. All’ingresso sono in genere vigilati, o c’e’ comunque un piccolo baracchino con mappe del parco a disposizione e altre notizie. Anche i servizi igienici, che possono spaziare dal cabinotto in plastica a più evolute costruzioni in muratura, sono sempre presenti. Molte volte c’e’ un vero e proprio centro visitatori. All’interno solo parco, niente case, niente strade.
La cosa che più mi ha stupito, devo dirlo, e’ stata vedere il proprietario di un cane raccogliere con un sacchettino le deiezioni del suo amico a quattro zampe. Voglio dire, eravamo letteralmente in mezzo al bosco, un posto dove, mi vien da pensare, roba così fa solo che bene alle piante.
Da quel giorno utilizzo sempre i servizi prima di entrare. Anche perche’, va ricordato, questa e’ la capitale mondiale della “poison oak”, una latifoglia particolarmente urticante. E si sa come vanno queste cose, non vorrei mai, in alcun modo, avere a che fare con le sue foglie. Per quanto riguarda il personale all’interno dei parchi, oltre ai famosi ranger, esistono anche, ho scoperto domenica, dei volontari, riconoscibili dalla maglietta verde con la scritta a caratteri cubitali “trail safety patrol”, che pattugliano i sentieri per dare eventuale aiuto ai bisognosi.
E’ un lavoro appunto su base volontaria, la disponibilità minima e’ di pattugliare per almeno otto ore al mese e prima di entrare in servizio bisogna partecipare a dei meeting informativi.
Ieri abbiamo incontrato un paio di pattugliatori a piedi alle prese con un, apparentemente innocuo, pitbull abbandonato cha familiarizzava con il cane di una coppia che era lì a passeggio.
Non sembravano essere completamente padroni della situazione, i pattugliatori, ma, va detto, e’ confortante l’idea che ci sia qualcuno che in qualche modo potrebbe intervenire nel momento del bisogno.
Dove per bisogno uno immagina, a farla grave, la distorsione alla caviglia, o cose del genere.
Abbiamo invece incontrato poco dopo anche un pattugliatore in bici che si e’ fermato e, probabilmente animato dalle più buone intenzioni, ci ha chiesto se avevamo visto dei puma in giro (quì li chiamano mountain lions).
La domanda ha impiegato qualche secondo per prendere forma nella mia mente. Qualche altro secondo poi per realizzare che il quesito non aveva motivo di essere posto, non saremmo di certo stati lì a camminare tranquillamente nel caso in cui la risposta fosse stata affermativa.
Alla nostra, ovvia, reazione “ci sono dei puma?” (prego immaginare la “a” molto lunga e le sopracciglia sollevate) ha risposto seraficamente che “beh sì, ce n’e’ uno, ma in genere esce a cacciare solo di notte”. E se n’ e’ andato, scomparendo oltre la collina in una nuvoletta di polvere, lasciandoci mentre riformulavamo mentalmente la frase “ah, ci sono dei puma quì” e controllavamo l’ora, circa le due di pomeriggio.
Non sono particolarmente addentro alle abitudini alimentari dei puma, e se anche mi e’ di un certo conforto sapere che sono dei predatori notturni, non ho potuto fare a meno di pensare che, nel mio passato di tre pasti regolari durante il dì, mi e’ capitato alcune volte di svegliarmi di notte in preda ai morsi della fame e divorare (un verbo che avrei preferito non ricordare in quel momento) un panino improvvisato con quello che c’era.
Il resto del pomeriggio e’ passato fortunatamente tranquillo, se si eccettua la breve eccitazione dell’incontro con un serpentello, probabilmente defunto, che non aveva nessuna delle caratteristiche, testa triangolare, coda con sonagli, o cose del genere, che invitano a starne alla larga.
Ogni tanto, cercavo di ripassare mentalmente il comportamento più opportuno da tenere quando si incontra un puma, e mi rammaricavo di non aver prestato maggiore attenzione alla bacheca all’entrata che, molto probabilmente dava dei suggerimenti utili.
Forse ne parlano ai meeting informativi del volontari, di certo non li istruiscono a rassicurare i frequentatori dei parchi.